venerdì 15 ottobre 2010

LIETO E SILENTE

E' un silenzio santo, quello della bianca ovatta che morbida e nevosa lenta si dipana sulla terra letargica. Non vedo né sento altro che questo freddo e silente discendere di impalpabili fiocchi, messaggi perfetti di un mondo che non c'è. E lieto mi perdo nel quieto incanto, mentre silente e lento volteggio tra questa danza morbida e ovattata che del mondo ha solo un flebile e fatua suono.

domenica 22 agosto 2010

LA BENEDIZIONE MALEDETTA

Quando uscii all'aperto insieme a lei un sole brillante mi accecò di oro ardente, nelle vene la vita mi fluiva come ferro fuso e in un attimo seppi che il tempo e lo spazio e la terra e il cielo erano uno solo.

La guardai e lei guardò me. Nell'istante in cui i nostri occhi si incontrarono sentii una scintilla, l'incastro perfetto di due energie eguali ed opposte, come due magneti invisibili, destinati a cercarsi ma condannati a fuggirsi. Benedetti dall'Amore, ma maledetti dall'Odio.

giovedì 12 agosto 2010

ZENITH

Un sole giallo e accecante mi svegliò. Non avrei saputo dire dove mi trovavo esattamente, né che giorno fosse. Dalla canicola ardente che soffocò il mio corpo non appena ripresi conoscenza avrei potuto dire che si stava avvicinando il meriggio. Fuori il vento soffiava deciso, i legni marciscenti della baracca di pescatori dove mi trovavo sbattevano contro le pareti insicure, sembrava che da un momento all’altro tutto dovesse venire giù. A fatica mi tirai su dal giaciglio di paglia secca e stracci sul quale ero disteso, mi facevano male tutti i muscoli. In una fessura lucente tra due legni antichi posi il mio occhio riluttante alla luce e vidi un’immensa spiaggia splendente di bianco. Sulla destra onde azzurre e spumeggianti si infrangevano sulla sabbia. Tornai a distendermi e rimasi così per non so quanto tempo: fermo, semicosciente, inerte.

Leggi tutto il racconto: ZENITH

sabato 31 luglio 2010

FRATELLI E SORELLE DI UNA GRANDE FAMIGLIA CHE NON MORIRA' MAI

Notte. Scura e buia come tutte le notti. Le luci giallognole creano piccole oasi luminose per gli insonni figli dell'uomo. In un vecchio tram praghese torno verso l'agognato ovile, caldo e accogliente, e guardo impudente i miei compagni di viaggio: facce stanche e assonnate, qualcuno ha ceduto a Morfeo e ciondola in disperata ricerca di comodità.
Osservo i loro volti provati dalle ore piccole, l'alcool li ha reso meditabondi. E' venerdì, sono rilassati, domani dormiranno e si prenderanno la loro piccola rivincita sulla vita.
Li osservo e mi chiedo chi siano, da dove vengano, perché quelle rughe su fronti così giovani? Cosa o chi li tormenta? Quali storie nascondono?
Siamo fermi. Dalle porte aperte esalano effluvi estivi dei fiori di qualche albero da frutto e colorano l'aria di profumi gustosi. Mentre in questo profumo cerco una guida mi chiedo se anche nel verde della Natura ci sentiremmo così soli ed isolati. Mi chiedo se esista una medicina a questa a condanna che chiamiamo solitudine.
Si dice che l'Amore e l'unione di due anime, maschile e femminile, sia la panacea definitiva. La sintesi finale che rimedia alla divisione del grande spirito e io in questo nirvana mistico, riscatto e premio degli infelici, credo davvero, ma qua non lo vedo. Sarò cieco, sordo e testardo, ma vicino a me vedo solo spauriti occhi in cerca di sicurezza.
Sì, lo so, la gelosia è debolezza ed insicurezza, ma quando mi guardo intorno e vedo queste facce smarrite, allora capisco che forse la gelosia altro non è che un modo infantile di dire ti amo e ti voglio vicino a me perché perderti mi farebbe male. Quando nel silenzio sento questo, allora ho pietà di loro e di me, quasi mi commuovo alle loro e alle mie piccole miserie e penso che in fondo, quello che conta davvero, è che siamo tutti uomini, fratelli e sorelle di una grande famiglia che non morirà mai perché il suo nome è la Vita.

domenica 18 luglio 2010

RITMO TRIBALE, RITMO VITALE

Che cosa ci tiene saldamente ancorati alla Vita? Quali sono le cose che fano di noi delle creature che realmente vivono? La civiltà moderna ci ha circondato di cose superflue, di cose inutili che ci distraggono, ci rimbabiscono e, soprattutto, ci impediscono di guardare in faccia la realtà, di vedere lo scempio che pochi loschi figuri, i veri detentori del potere economico, stanno portanto avanti ai danni nostri e delle future generazioni.
Allora non rimane che guardare indietro, sempre più lontano nel tempo, per ritrovare quelle cose, quei punti fermi, che ci hanno accompagnato per millenni e che come tali fanno indissolubilmente parte del nostro patrimonio più vero di esseri viventi.
Le emozioni, i rapporti sociali, il cibo, il sesso, la prole...e il ballo! Sì, perché sin dagli albori dell'umanità l'uomo ha ballato, ha amato lasciarsi coinvolgere in un ritmo che lo riportasse al battito del cuore nel ventre della madre, al respiro regolare e sempre uguale a se stesso, al ritmo dell'alternanza tra il giorno e la notte. Tutto questo si sublima nel ritmo del corpo, ossessivo, ripetitivo e gratificante con il quale forgiamo un rapporto sessuale mimato, ritualizzato, spiritualizzato tra corpo e suono, tra movimento e musica.
E allora l'amore per il ballo, quello più sfrenato, meno controllato, liberatorio, provocante, sfacciato ed eversivo. Lasciarsi prendere, trascinare via da un battito atavico, senza fine. Un pulsare di vene, di fluidi, di sudore in un'armonia di muscoli e di articolazioni: movimenti che si fondono con lo spazio, ritmo che si fonde con il nostro cuore e ci riporta indietro, indietro...indietro di migliaia di anni fino all'origine stessa della nostra vita.

mercoledì 14 luglio 2010

Tutto il passato è già morto

Ci sono occasioni durante le quali capiamo di aver fatto qualcosa, di aver assunto un atteggiamento che non ha portato a niente di buono nella relazione con un'altra persona che ci era così vicina. In fondo tante cose belle, e sicuramente bella è l'amicizia, nascondono dei pericoli, a volte vere e proprie trappole. Non so chi abbia messo queste trappole, un'idea ce l'ho ma non è questo il punto. Il punto, semmai, è quando ci cadiamo. E non solo ci cadiamo accorgendoci ben presto di esserci caduti ma addirittura ci autogiustifichiamo dietro sentimenti nobili chiamati imprudentemente Amore al solo fine di crearsi un alibi, interno o esterno, inconscio o conscio, per poter continuare a cadere in quella trappola.
Sì, perché a differenza della preda che con una zampa in una tagliola si dimena disperatamente per salvarsi, noi nella trappola ci adeguiamo, ci prepariamo ad una lunga battaglia di conquista a bassa intensità e a nulla vale quella vocina ragionevole, tanto fiebile nella nostra testa, dell'amico saggio che ci avvisa apertamente su quello che sta accadendo.
Niente da fare. Si prosegue avanti, imperterriti convinti che in fondo ci sia quello che cerchiamo perché è sempre la speranza, la speranza che il sogno si avveri, che ci frega.
E allora quando poi finisci per sbatterci il muso contro naturalmente ti fai male, anche molto male. Hai voglia di lamentarti, di compiangerti ma se sei fortunato hai qualcuno che ti dice da subito di non farlo, perché così ci si rende solamente patetici se non altro di fronte a tutti quelli che non hanno sufficiente emaptia e senso della pietà per commiserare sinceramente chi soffre e chi chiede solo conforto agli altri.
Vedi che ormai è fatta, il vaso è rotto, i silenzi e le parole ruvide parlano chiaramente già un'altra lingua, un altro dialogo, suoni diversi quasi incomprensibili. Quello che è successo è chiaro. Protesi verso un futuro inesistente e utopistico, eppure testardamente attaccati ai propri sogni come muli, ci rifugiavamo almeno nel passato ingenuo, nei momenti piacevoli e nelle loro più fantasiose rielaborazioni ed interpretazioni.
Ma ora il gelo è piombato come un'eclissi malvagia sulle emozioni, c'è freddo, dentro e fuori e quello che si vede è desolazione, è un tempo che non c'è più ma che in realtà non c'è mai stato. Era un passato che viveva soltanto in noi e in quella speranza. Adesso è un passato che è morto, morto come qualsiasi cosa che abbiamo amato e che non avremo mai più.

sabato 10 luglio 2010

Ci sono notti...

Ci sono notti quando tutto vi sembra giusto. Quando le stelle alte nel cielo sono piccole torce brillanti che seguono i vostri passi incerti. Quando la luna è una certezza lattea ferma nel firmamento. Ci sono notti quando la città è tranquilla e funziona regolare come un orologio. Ci sono notti, quando tornando a casa, grandi alberi scuri vegliano sui vostri passi incerti, notti quando un piccolo parco urbano è un'oasi di profumi. Ci sono notti d'estate, quando la terra ardente esala olezzi di tiglio e di castagni in fiore, quando in un angolo di un giardino un cedro vi inebria con il suo misterioso profumo di bosco, quando un suono familiare vi riporta a casa e le gemme dei rovi non ancora sbocciati vi ricordano che tutto è in moto.
Sono notti speciali, notti che dovremmo segnare nel calendario per portarne con noi la memoria nelle fredde ed umide giornate autunnali, quando la pioggia grigia e testarda sembra volerci entrare nelle osse per liquefarci.
L'estate è un attimo che passa, un'oasi di spudorata beatitudine, senza motivo e senza regole...come un gioco di bambini. E in una notte come questa, tra gli echi di persone amiche, non posso non pensare che sia una notte giusta. Forse domani sarà altrimenti, probabilmente ieri non era così, ma oggi è una serata speciale e questo soave alone notturno pare dirmi di essere qui solo per queste povere parole...

lunedì 31 maggio 2010

IL VECCHIO E IL FASCISTA

Il nuovo racconto dell'Elfo Fastelli: la storia di un vecchio e di un incontro con le ombre del suo passato. Leggi il racconto cliccando qui
Qualche scaglia del racconto:

Tante volte aveva sostato sul quel piccolo terrazzino meditando di farla finita, con la voglia di lasciarsi cadere e liberarsi una volta per tutte dei ricordi dolorosi di sua moglie e di suo figlio. Ma non ne aveva mai avuto né il coraggio né la debolezza necessari. Si era rassegnato a vivere con quel dolore profondo e incessante ben consapevole che non sarebbe mai riuscito a superarlo e che la sua vita si sarebbe consumata nel ricordo di ciò che era accaduto. Il figlio ucciso dalla polizia durante una delle tante manifestazioni di quegli anni, la moglie consumata dal dolore e morta pochi anni dopo. Era rimasto solo. (...)

Sentì dentro di sé un gran gelo, come se una voragine buia e fradda si fosse spalancata dentro di lui. Un profondo senso di rabbia e di disgusto lo invase al punto da fargli salire velocemente la pressione e il battito cardiaco. Il signore lo osservava incuriosito mentre il vecchio volse lo sguardo verso i bambini che giocavano e tornò a chiedergli: “Si sente bene?”. Il vecchio senza guardarlo rispose con un filo di voce: “Sì, è solo il calore che non mi fa bene”. (...)

La violenza delle parole di quell’uomo avevano fatto capire al vecchio che era proprio quell’odio la radice del male, quello stesso odio che ora provava contro di lui: quella era la fonte avvelenata che gli aveva portato via i genitori, il fratello e poi il figlio e la moglie. (...)