giovedì 12 agosto 2010

ZENITH

Un sole giallo e accecante mi svegliò. Non avrei saputo dire dove mi trovavo esattamente, né che giorno fosse. Dalla canicola ardente che soffocò il mio corpo non appena ripresi conoscenza avrei potuto dire che si stava avvicinando il meriggio. Fuori il vento soffiava deciso, i legni marciscenti della baracca di pescatori dove mi trovavo sbattevano contro le pareti insicure, sembrava che da un momento all’altro tutto dovesse venire giù. A fatica mi tirai su dal giaciglio di paglia secca e stracci sul quale ero disteso, mi facevano male tutti i muscoli. In una fessura lucente tra due legni antichi posi il mio occhio riluttante alla luce e vidi un’immensa spiaggia splendente di bianco. Sulla destra onde azzurre e spumeggianti si infrangevano sulla sabbia. Tornai a distendermi e rimasi così per non so quanto tempo: fermo, semicosciente, inerte.

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1 commento:

  1. Il finale ricorda molto quello di Martin Eden, di Jack London, non so se lo hai letto, ma comunque se trovi facilmente, leggi le ultime cinque/sei righe: noterai sicuramente la somiglianza. Insomma via sei un dannunziano, ti piace quest' abbandono, questa contemplazione, questo descrivere ossessivo di cose e sensazioni.....qualcuno direbbe: Lei, dottor Pieralli, ha una sua poetica. Insomma un filo conduttore cìè. qualcuno direbbe perfino l'ISOTOPIA del testo. E non è poco. La Natura e la Solitudine. Grazie per avermelo mandato.

    La Voce del Maestro

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