giovedì 16 giugno 2011

IN LEI MI SONO PERSO

Ho avvicinato il mio viso ai suoi capelli, e nel loro profumo mi sono perso.
L'ho ascoltata ridere e prendermi scherzosamente in giro, e mi sono perso.
L'ho guardata camminare, veloce e sinuosa, e mi sono perso.
Ho trascorso ore a scambiarmi messaggi con lei, e mi sono perso.
L'ho sognata di notte, viva e reale come se fosse al mio fianco, e mi sono perso.
Ho pensato a lei così spesso, ricordando il suo sorriso, e mi sono perso.
La conoscevo da poche settimane, ma mi sembravano anni, e in quei ricordi mi sono perso.
Nel colore diafano della sua pelle liscia mi sono perso.
Nei suoi occhi chiari e consapevoli di sé mi sono perso.
E' passato già tanto tempo, lei è sempre più lontana da me,
ma non mi sono ancora ritrovato.

domenica 12 giugno 2011

UNA PROSIA DEI PINK FLOYD SULL'ARIA NOTTURNA

La musica rimpie la stanza. I bassi che pompano. Cori che si levano al cielo. Assoli di chitarra che volano. E noi con loro ci solleviamo sul cielo notturno di Venezia. Roba importante da non sottovalutare quando non sappiamo più quale sia la direzione giusta da prendere. Forse i Pink Floyd non salveranno il mondo, ma sicuramente fanno la loro grossa fetta di lavoro. Un Cannonau di Sardegna mi riporta a terra nelle radici millenarie di un vino che è sangue di un Isola e mi ricordano che per chi ama il mondo e la Vita, tutto è possibile. Non vi sono barriere preconcette ma solo quelle che noi ci portiamo dentro e che, se vogliamo, possiamo far svanire con un soffio di arcobaleno. La pioggia è sempre un fenomeno temporaneo, comunque utile e noi non possiamo pensare al sole senza pensare anche alle sue nuvole.
Non ho occhi per questa notte che voglio cieca come le misteriose creature della terra che indefesse trasformano incessantemente la materia inerte in materia viva, mattoni dimenticati di uno splendido castello infinito che chiamiamo Natura.
Volteggiando sulle note di un assolo è possibile abbracciare il tempo, in una sensazione sola che non ha limiti né costrizioni, perché la Grande Creazione fu una e una sola, come uno ed uno solo è ogni attimo che viviamo e uniche sono le sensazioni che ne proviamo.
Non ricordo più quando tutto cominciò, ma è certo che ebbe inizio perché quello che mi circonda non può essere un caso. Le cose che provo, che sento e che vivo non possono essere un'illusione se sono io stesso a provarle, altrimenti tutto perde di senso e di contatto con il vero, quello ultimo. Io non posso che essere una fusione, consapevole o meno, con ciò che sento perché, in fin dei conti, è l'unico vero modo che ho per sentirmi vivo.
Si riaccende il focolaio notturno di questo suono senza fondo che ci canta che, se vogliamo, nessuno ci potrà fare del male. Fregarsene è una scelta. Di tutto e di tutti, poi non rimane che andare avanti per la propria Via e vedremo che tutte le porte finora serrate si apriranno per noi con un sorriso di vecchi cigolii.
E, se in un soffio di vento lontano nel nord, se in un sorriso fugace di una giovane donna, se nel luccichio di un arcobaleno in uno stagno e mi interrogherò se sia davvero così, allora, trascinato dalla forza vitale di questa musica, mi dirò che alternative non ce ne sono, e che chi nuota insieme alla corrente, non può non andare più veloce e più lontano.
Non ti rimproverò più per tutto ciò che è stato, l'ho superato e sono in Pace con me stesso, ma non accetterò più che tu possa dirmi il perché e il per come. Sarai tu, questa volta, a dover scegliere se stare al gioco e se volgerti altrove perché adesso, finalmente ho capito, non ho più bisogno di te a tutti i costi.
E, se lo vorrò ma solo se lo vorrò, in un prato fiorito e profumato, potrò anche ricordarti bella nel vento, mentre cogli un fiore o guardi un albero che oscilla mellifluo nel vento, E, ne sono certo, non cadrò nuovamente in quel vortice di sogni e sensi di colpa nel quale mi ero perso per anni, perché ho capito, finalmente, che, in fin dei conti, si tratta sempre e comunque di una decisione mia, di nessun altro. Mia e solo mia. Che mi piaccia o no. E allora, nel momento in cui capisci davvero questo, non ti rimane che scegliere, ma quando sei realmente consapevole di come stanno le cose, puoi scegliere in un solo modo: quello giusto. E così ho fatto io e il tuo fantasma si è dissolto in un vapore notturno che si perde tra le fronde scure di questi alberi addormentati. Lento e sinuoso se ne andrà così come lento e sinuoso arrivò. E, non credere, è profondamente giusto che sia andata così, perché evidentemente così doveva andare, non c'è altra spiegazione sensata a tutto questo.
E allora seguimi, seguitemi tutti, in questo viaggio affascinante, Perché in fondo, lo sappiamo, noi ci amiamo a vicenda, non riusciamo a farne a meno, questa è la nostra Natura più profonda, lasciamo perdere tutto il resto. Un percorso fatto di luci e ombre, lungo e in salita, ma la veduta che si gode da lassù, Ve lo assicuro, ne vale davvero la pena. E se l'ho fatto io che sono un pigro inguaribile, perché non dovreste riuscirci Voi?
Perché quel Cuore che batte nel Vostro petto batte alla stessa velocità e agli stessi ritmi del mio, non confondiamoci, è lo stesso che pompa il sangue a tutte le cellule del mio corpo. E allora, di grazia, perché mai Io dovrei essere diverso da Voi o Voi da me? Pensateci un attimo seriamente. Non ha molto senso, o no?
Che forse non la sentite questa Musice che sale verso l'Alto, che lentamente ma senza soste sta salendo uno ad uno i gradini della Scala del Cielo? Che forse non sentite questo assolo accompagnato da una voce umana che sembrano una cosa? Che forse non sentite questo coro da circolo intorno ad un falò davanti ad un mare troppo immenso per essere compreso? Prestate attenzione un attimo, con calma, aprite il cuore e la mente, lasciate che l'energia fluisca, e subito sentirete anche Voi. E' inevitabile. Visto che il Grande Messaggio non può che essere uno solo ed è qua davanti a Noi in ogni momento della nostra Vita.
Nascondersi, ignorare ed essere ignavi non serve a niente perché i nodi, come i conti, tornano sempre al pettine e se non è ora sarà poi. Ma sarà. E, allora, non è forse meglio accettare, riconoscere e allargare le braccia in quello che, alla fine della fiera, è un abbraccio universale, oserei dire cosmico.
Un unico abbraccio che ci porterà tutto quello di cui abbiamo davvero bisogno, tralasciando tutti gli scarti e i relitti inutili. Non mi pare roba da poco. Stiamo parlando, tutto sommato, di un affare vantaggioso, o no? Del Venditore di questa Merce io, gira e rigira, so ben poco, e, quindi, non mi rimane che giudicare dal tipo di prodotto che mi presenta. E devo dire che, come lo rigiri, è un prodotto che ha il suo perché. Non sarò certo io a negarlo visto che farlo sarebbe, comunque, una sciocchezza.
E, allora, non è forse meglio abbandonarsi a questa danza di assoli umani e voci ultraumane che scandiscono l'etere mentre strumenti che arrivano direttamente dal tempo tengono un ritmo perfetto in assolanza lasciva con il ritmo della Creazione? Dico bene? Questo, ammettetelo, non mi pare un suggerimento da poco, e allora, arrivi da dove arrivi, ascoltiamo e seguiamone i passi convinti della bontà della destinazione verso la quale essi ci portano.
Perché, mi pare evidente, stare fermi senza essere sicuri di quale strada prendere, è sempre e comunque peggio di muoversi e prendere una strada della quale forse non siamo convinti al cento per cento, ma che ci fa sentir meglio delle altre.
In fondo, non siamo che un falò di emozioni.



LE TERMOPILI, BERLUSCONI E MONTESQUIEU E UN NUOVO RINASCIMENTO. UNA RICETTA PER SALVARE LA DEMOCRAZIA

Democrazia. Il totem magico della civiltà occidentale. Un sistema di valori e di regole che ha progressivamente sostituito a livello ideologico la teocrazia della Chiesa di Roma, così come avevano cercato di fare, fallendo, i nazi-fascismi e i comunismi del XX secolo. In una società secolarizzata che ha perso molto della propria fede nel mistero e nel sovrannaturale (pur non avendone perso, va detto, l’esigenza), la democrazia è stata assurta a panacea universale per la gestione di società sempre più complesse quali quelle moderne sono. E a ragione, visto che non si può non condividere Churchill, secondo cui la democrazia è la peggior forma di governo, escluse tutte le altre. Insomma, da quando le città-stato greche hanno fermato a Termopili i persiani di Serse furono gettate le basi di un sistema filosofico e di pensiero che si sarebbe lentamente espanso in tutto l’Occidente, in contrapposizione ai sistemi orientali assolutistici di provenienza asiatica, nei quali possiamo tranquillamente far rientrare anche la mostruosità del faraone sanguinario chiamato Stalin.

Se i greci riuscirono a fermare il morbo totalitario persiano, altrettanto non si riuscì a fare in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale. E così, complici l’avidità senza fondo e la voracità insaziabile dei grandi industriali dell’epoca liberale che crearono con milioni di reietti affamati il terreno fertile, ecco arrivare ancora da Est una nuova grande pestilenza ideologica: il comunismo.

Implosa la Cortina di Ferro, la Repubblica Ceca torna a pieno titolo ad essere un rappresentante del mondo Occidentale. Un paese che si beneficia della sua posizione geografica, spartiacque tra Occidente e Oriente, tra mondo germanico-latino e mondo slavo. Un paese destinato ad oscillare tra l’inclinazione da una parte verso la slavofilia, derivante dall’etnos, dal logos e dall’educazione primaria impartita dalla missione evangelizzatrice dei maestri Cirillo e Metodio, macedoni beneficamente coltivati nella cultura greca, e, dall’altra, l’anelito alla libertà, il riformismo e l’autodeterminazione che ha trovato nel professor Jan Hus il suo più commovente e sfortunato messia. Un paese piccolo, forse, ma, come tutti i baricentri, anche la Repubblica Ceca, equilibrista tra Ovest ed Est, in realtà è la piccola bolla d’aria della livella tra Occidente ed Oriente.

Se volgiamo lo sguardo all’oggi, sembra che, nonostante tutto, i principi democratici del paese boemo siano saldi. Infatti, a differenza di altri paesi, ahimè Italia compresa, la debolezza dell’ultimo governo, la sua bassa popolarità e l’evidente incapacità di lottare efficacemente contro la corruzione, non ci hanno reso spettatori della crescita di partiti populisti, xenofobi ed estremisti, che con il loro vaniloquio antisistema cerchino di catalizzare il malcontento degli elettori.

Eppure alcuni dati recentemente pubblicati da Respekt sulle aspettative e la fede tra i cechi, giovani in particolari, verso la democrazia come sistemo di governo dovrebbero metterci in allarme.

Cosa ne desumiamo? Che i nostri figli, le generazioni future che diventeranno i pilastri su cui poggerà la nostra società, sembrano non credere più nel sistema democratico. Non avendo vissuto da vicino l’orrore del suo opposto, non possono non risentire di un sistema che, se formalmente libero, all’atto pratico sembra tenere davvero di poco conto le aspirazioni dei cittadini. Se gli elettori non sono più disposti a tollerare la corruzione, ecco tutti i candidati promettere meno corruzione. Le urne danno loro ragione, ecco pronto il nuovo governo e... eccoci al punto di partenza: la corruzione continua indisturbata a succhiare le risorse del paese. Allora, forse, dovremmo ringraziarli (o biasimarli?) se non intraprendono vie violente e, invece, prediligono azioni locali, magari non governative, che mirano alla soluzione di problemi concreti. Iniziative certamente utili e lodevoli ma che rischiano di lasciare campo libero ai poteri forti della politica nazionale se devono avere come effetto una crescente diserzione delle urne.

Questo per la Repubblica Ceca. Volgiamo allora adesso il nostro sguardo verso un teatro politico diverso, non certo più importante ma sicuramente più teatrale, esasperato e, ammettiamolo, anche più entusiasmante: l’Italia. Qua serve un approccio ben diverso. Parto dal presupposto che ai lettori sia nota, almeno in via generale, la tragica situazione in cui versano le istituzioni italiane, sottoposte giornalmente all’attacco di un solo uomo disposto a far affondare l’intero paese in una guerra civile pur di sottrarsi alla giustizia che, in modo del tutto legittimo, sta indagando sul suo torbido passato e il suo vergognoso presente. Ma se quest’uomo (non serve nominarlo, sappiamo tutti di chi parlo), questo affabulatore populistico è lì dove si trova e se ha occupato quello scranno per 17 lunghi, troppo lunghi, anni, ciò non può essere imputato ad un colpo di stato modello sudamericano (se non altro Pinochet e compagnia si era autolegittimato con la violenza con cui hanno conquistato il potere), né ad una rivoluzione che abbia legittimato l’ascesa al potere del magnate della mistificazione. No, se è lì lo dobbiamo proprio a quella democrazia di cui sopra. Sì, è così. Soffermiamoci a riflettere un attimo su questa tragedia. Quell’uomo che sta distruggendo le istituzioni, sta attaccando la costituzione, sciogliendo lo stato sociale, creando una generazione di yes-man, di marionette sempre pronte ad obbedire al capo, di giovani donne che non vedono alternative all’uso del proprio corpo per conquistarsi un posto al sole, ebbene quell’uomo è lì perché è stato liberamente eletto, e, dunque, è legittimamente al potere. Le sue leggi, i suoi decreti, per quanto deprecabili, sono legittimi: votati da una maggioranza eletta. L’unica diga al dilagare del male rimane, allora, la Corte Costituzionale che ha il potere, applicato per esempio nell’abolizione del legittimo impedimento, di dichiarare incostituzionale una legge quando, purtroppo, il complesso, e costoso, sistema politico italiano non riesce a fermare prima una legge contraria alla carta costituzionale. Mistificando volontariamente la libertà con la liceità questo personaggio rivendica la legittimità di governare, così lui chiama la difesa dei propri interessi a scapito dell’intero paese, con il risultato delle urne.

E allora questa democrazia funziona o no? Tecnicamente pare di sì. Gli italiani che lo hanno votato non erano costretti a farlo, non avevano il fucile puntato alla tempia, i seggi elettorali non erano presieduti dalle sue milizie come avviene in tanti regimi dittatoriali dove le elezioni sono solo delle farse (così com’è stato nell’allora Cecoslovacchia per quarant’anni, ricordo mio nonno che si rifiutava di andare a votare e le preghiere di mia nonna, che mal vedeva le sue piccole aspirazioni di ribelle, e lo pregava di non creare problemi). Ma allora perché milioni di persone lo hanno votato?

A mio avviso un fenomeno così complesso ha due risposte relativamente semplici. La prima è cosa nota: l’80% degli italiani valuta i politici in base a quello che vede in televisione e la televisione è nelle sue mani, questo è evidente. È vero che oggi chi lo desidera ha molti modi per informarsi in modo autonomo e libero. Il mezzo principe è Internet dove, con un po’ di impegno, è possibile farsi un’idea più chiara su come stiano realmente le cose. Le informazioni ci sono, quella che manca è la voglia di cercarle. La maggior parte delle persone non sono interessate alla politica come lo può essere un giornalista, uno scrittore o un opinion maker. Sentono il dovere di votare, ma per farlo non vogliono dover affrontare chissà quali analisi, dibattiti o approfondimenti. La loro vita è altrove. Questo non riguarda solo l’Italia. È comprensibile e legittimo che sia così. Se a questo aggiungiamo che l’Italia è un paese che, dai tempi dei Comuni, vive diviso in mille fazioni e che gli italiani sono per cultura e per storia intimamente e profondamente “faziosi”, ovvero sempre schierati con qualcuno, emotivamente, qualcuno che difenderanno e giustificheranno indipendentemente dalla realtà dei fatti, se a questo aggiungiamo il potere mediatico di questo mostro televisivo, allora già ci stupiamo meno del suo potere.

La seconda ragione è intimamente connessa con la prima e possiamo ricercarla in un dato molto interessante pubblicato da Beppe Severgnini sul suo validissimo “La pancia degli italiani. Berlusconi spiegato ai posteri” (che consiglio a tutti vivamente di leggere): solo il 3-4% degli elettori del caimano sono laureati. Cosa significa ciò? È forse un male? Sì e no. No perché tutti, compresi i non laureati, hanno il diritto di essere rappresentati. Ma è anche un male se pensiamo che la politica non può limitarsi alla rappresentanza di tutti gli interessi ma deve aspirare anche ad indirizzare la società, a migliorarla e questo lo può fare soltanto una classe politica istruita.

Cosa ne desumiamo, allora? Che esistono due grandi rischi per la democrazia: il controllo dell’informazione e l’attacco all’istruzione. Anche le teorie economiche, tanto decantate dai pensatori di destra del mainstream che dominano la scena politica mondiale dagli anni 80 in poi, prevedono che un mercato possa funzionare bene solo quando gli operatori sono ben informati sui prodotti e i servizi, quando sono in grado di comparare efficacemente i prezzi e le qualità delle offerte. Allora saranno in grado anche di scegliere correttamente, cosa che porterà ad una migliore allocazione delle risorse. Se ho davanti a me due mozzarelle simili, una costa meno e ha la diossina, una costa di più ed è biologica. Sarei un pazzo se comprassi quella con la diossina, ma se io non ho questa informazione finirò per acquistare proprio quella. L’arena politica non è troppo diversa. Gli elettori sono come dei clienti, il loro voto è la scelta che fanno e la gestione politica il servizio che acquistano, l’eletto il loro fornitore. Appare lapalissiano che per scegliere correttamente abbiano bisogno di un’informazione libera, completa e veritiera. Ma è sufficiente? No, perché, tutto sommato, in Italia esistono programmi, pochi purtroppo, che offrono informazione plurale, eppure non convincono le persone che poi votano il mostro. Perché? Sono forse più stupidi degli altri? No. Sono in malafede? No. Sono legati al mostro? No (escluso il suo entourage di ruffiani e di cortigiane). La risposta è semplice: non sono istruiti come gli altri. Ovvero non hanno quegli strumenti concettuali e culturali necessari per analizzare e decodificare le informazioni valutandone così la veridicità e la bontà. Perché le informazioni non sono neutre. Non è una questione di gusti, le informazioni contengono i semi del Bene o del Male. Questo spiega come milioni di persone possano davvero credere alle frottole quotidianamente propinate dai telegiornali controllati dal caimano.

Come se ne esce? Innanzitutto bisogna difendere la libertà di informazione e la sua qualità. Bisogna premiare i giornalisti bravi e punire severamente quelli cattivi che si macchiano intenzionalmente di disinformazione, a questo dovrebbe servire l’albo dei giornalisti. Secondo, forse più complesso, garantire realmente l’accesso universale all’istruzione, un’istruzione che sia davvero di qualità, ma non solo: è necessario creare un sistema che imponga alle persone di istruirsi costantemente, un sistema che nel tempo, gradualmente, aumenti il livello di istruzione, di cultura, di sapere nella società. Di questo si gioverà non solo la democrazia con operatori istruiti, ben informati che poi sapranno scegliere in modo migliore, ma se ne gioverà il benessere di tutta la società. È stato ampiamente dimostrato che l’HDI, Human Development Index, ovvero l’indicatore dell’ONU che misura il benessere e la qualità della vita nei paesi del mondo, maggiore è l’istruzione media, maggiore il benessere, la tutela dell’ambiente etc. Se i paesi arabi sono in rivolta è perché sono stati “contagiati” dalle informazioni libere: internet e tv satellitare. Hanno veduto, saputo e ora rivendicano i loro diritti. L’Italia va in direzione opposta. La gente sa sempre meno e rinuncia ai propri diritti, conquistati con il sangue e il sudore dei loro padri e dei loro nonni nelle fabbriche, nelle trincee. Dobbiamo fermare questo declina, invertire questa tendenza al rimbecillimento generalizzato della società che fa comodo solo a chi la vuole controllare e manipolare. I soldi all’istruzione, alla cultura, all’informazione libera e alla salute devono essere tutelati costituzionalmente nei bilanci statali con percentuali fisse, crescenti nel tempo, che non possono essere modificate dalla politica. Se c’è bisogno di risparmiare aumentiamo le tasse, tranquillamente a tutti, ricchi e non solo, anche i poveri, contribuiamo tutti se serve, rinunciamo a treni supercostosi e veloci, andiamo più piano e risparmiamo, rinunciamo ad un’autostrada, arriveremo più tardi ma risparmieremo, risparmiamo davvero sulla corruzione, tagliamo enti inutili e costosi, impediamo realmente la fuga dei capitali, combattiamo davvero l’evasione fiscale, abbassiamo pure le tasse, se ci pare di pagare troppo, ma guai a chi non le paga. Ma, signori politici, non dobbiamo MAI risparmiare sul sapere, sulla cultura perché ne deriva un detrimento di lungo termine che può distruggere la nostra società, il cui benessere è stato costruito proprio sulla diffusione dell’istruzione, non certo sul grande fratello, le donne nude e i varietà per cerebrolesi. L’Italia con il mondo classico e con il Rinascimento ha posto le basi della cultura dell’intera Europa, tutti i nostri vicini ci sono grati per questo e lo riconoscono venendo in milioni a visitare ogni anno questo incredibile lascito culturale. Oggi, 20 secoli dopo gli splendori aurei degli apici dell’impero romano, 5 secoli dopo la grande rivoluzione culturale portata dal Rinascimento, stiamo mostrando a tutta l’Europa il rischio di non investire nella cultura. Ancora una volta stiamo dando un grande messaggio al mondo, questa volta in negativo. Stiamo attenti a questi segnali, non abbattiamoci, resistiamo e, se necessario, combattiamo per la nostra libertà, la nostra dignità e i nostri diritti: ovvero, combattiamo per il nostro sapere perché è nel sapere che è la vera libertà per l’uomo.

Il nuovo grande Rinascimento della filosofia politica del XXI secolo deve essere quello di, nell’equilibrio tra il potere esecutivo, giudiziario e quello legislativo di Montesquieu, aggiungerne un altro: il potere del sapere, dell’istruzione e della cultura. Un potere indipendente, forte, tutelato a livello costituzionale e con pari diritti e doveri rispetto agli altri tre poteri classici. Altrimenti, potremo anche continuare a vantarci di avere libertà di voto e libertà di espressione, ma a cosa, e soprattutto a chi servirà se le persone sono e saranno sempre più incapaci di votare e di esprimersi?

Prosia di una notte morbida e silente

Le tre di notte. Provato da una cena luculliana a base di prelibatezze e vini profumati, una pioggia leggera profuma l'aria di umidità e un tram nuovo scintillante fende liscio il silenzio ovattato di questa notte morbida. Non mi chiedo più perché, ma come. Galleggio leggero su un letto di piume pieno di sensi di colpa sgonfiati e muti, come degli sgraditi ospiti che sono tornati da dove sono venuti.
Due voci femminili davanti a me cantano come passerotti tra monili colorati. Il profumo e il colore dei loro capelli è una risposta ad una domanda troppo grande che da secoli risuona nell'eco infinita del tempo. Non vedo strade alternative a quella già tracciata dall'umanità e che nella vita e nella morte inevitabilmente mira a Dio. Essenza ultima dell'esistena. Poi, non serve più nulla.

sabato 26 febbraio 2011

AC/DC AL VAGON. LA CORRENTE ELETTRICA NELLE VENE

Mi sveglio una prima volta alle 13,30 ma il mio corpo si ribella violentemente a questo sopruso. La seconda volta, 4 ore dopo, riesco a focalizzare lentamente il mondo intorno a me. Sì, sono ancora io, in pieno recupero energetico. La foschia si dirada dalla mia mente e comincio ad intravedere le ultime scene di una folle notte elettrica.
Praga, Vagon, venerdì notte, decine di persone che sinuose si contorcono al ritmo ossessivo e persistente della chitarra della AC/DC Bon Scott memorial band. Entro nel locale, l'aria è carica, densa, calore umano e sudore bruciano sulla voce del cantante. Eccoli, i miei amici. Un Vinile d'annata, scatenatissimo, felicemente avvinghiato alla bella e conturbante Misa, praticamente fuori controllo, mai visto così. Al suo fianco un grande Pochettaino mima un amplesso fisico con una chitarra demoniaca mentre un The Octopus da mitologia si muove marmoreo e potente come le montagne della sua terra.
Parto in sordina, la musica è accattivante, il gruppo più che degno di portare il nome di Bon Scott e degli AC/DC nel suo nome. Poi mi sciolgo, la birra, le onde della folla danzante, accelero finché divento una cosa sola con la musica. Assoli di chitarra che sono prolungati orgasmi elettrici, trattenuti fino al parossismo della soglia del dolore muovono il mio corpo come fossi la loro marionetta. Una notte lunga, intensa, pregna. Dopo un'infinita rockoteca con i redivivi Magnete e l'Etico. Torno a casa con un nuovo numero di telefono in rubrica, un berretto in meno. Stanco ma soddisfatto. Mi addormento in tram, non importa, dal capolinea a piedi mentre ormai albeggia. Un tanto provvido quanto inatteso tram inviatomi dall'Alto dal Grande Spirito di Bon Scott mi riporta velocemente a casa dove crollo. Il cerchio si è chiuso. Gli AC/DC sono tra noi e la loro musica vivrà in Eterno.
Che il Rock sia con Voi Fratelli.
Amen

http://www.youtube.com/watch?v=-f1cwycSWq0

http://www.youtube.com/watch?v=2bPQAWZFZlM&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=fsDpznl8eIs&feature=related

domenica 13 febbraio 2011

IL LUNGO ESODO BIBLICO VERSO LA DEMOCRAZIA

Le preoccupanti notizie che arrivano dall’Italia sui tristi avvenimenti che, in quello che per molti rimane il più bel paese del mondo, stanno seriamente minando le fondamenta della Democrazia dovrebbero preoccupare anche chi, lontano dai confini di un paese praticamente fondato sulla TV e sulla manipolazione mediatica, si crede al sicuro dagli insidiosi germi della deriva populistica e antidemocratica.

Non intendo affrontare in questa sede la questione politica italiana che, tutto sommato, in questo paese riscuote interesse limitato e che, ad ogni buon conto, viene già magistralmente illustrata e raccontata dall’ottimo Holub durante i suoi eccellenti seminari di aggiornamento sull’attualità italiana. Tale approfondimento, infatti, richiederebbe uno spazio ben maggiore di quello qui concessomi. Al contrario, desidero inaugurare questa mia collaborazione con lo Zpravodaj dell’Associazione Amici dell’Italia, che mi auspico essere lunga e fruttuosa, con una riflessione sul rapporto tra la Democrazia e la società civile in Repubblica Ceca.

Leggo da più parti manifestazioni di delusione per la precarietà dei principi democratici in questo paese. Sull’ottimo Respekt, poco tempo fa è uscito un articolo interessante dove si argomentava che, se da una parte oggi i Cechi possano ritenersi un paese ben avviato sulla strada della ricchezza materiale, dall’altra la strada verso il radicamento di una reale Democrazia appare incerta ed irta di ingombranti ostacoli. Tra questi, senza dubbio, il primo, apparentemente irremovibile, è la corruzione, ahimè qui diffusa a livelli davvero indegni di un paese civile e moderno. Corruzione che va di pari passo con la totale immobilità della polizia ceca e il suo vergognoso assoggettamento al potere politico. Purtroppo anche in Italia questa è una cancrena che ha raggiunto livelli di guardia, ma se non altro, ogni tanto, qualche politico finisce per dover rendere conto alla Giustizia, come nel caso recente di Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia, in carcere per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra dove dovrà scontare una pena di sette anni di reclusione.

D’altra parte quando sento il Ministro ceco della Difesa Vondra gridare alla persecuzione contro la sua persona e contro il suo partito in merito alle accuse mossegli secondo cui sarebbe stato a conoscenza dell’appalto gonfiato (766 milioni di CZK invece di 85!), vinto dalla PromoMoPro per i servizi audiovisivi durante la presidenza ceca UE, ebbene, seppure molto più in piccolo, mi viene da pensare a certi personaggi italiani che di fronte a qualsiasi accusa gridano subito al complotto. Se pur vicesegretario di un partito ai miei occhi completamente discreditato e complice dell’elevato livello di corruzione di questo paese, ho comunque rispetto per l’uomo Vondra, ex dissidente e firmatario della Charta 77. Ammiro anche i suoi sforzi di porre un freno, vedremo quanto efficace, alla situazione veramente vergognosa, lasciata dal suo predecessore Bartak, al Ministero della Difesa dove i rapporti tra i funzionari, che conferivano i grassi appalti per l’acquisto di mezzi militari spesso inutili o addirittura non funzionanti, e le ditte vincitrici era davvero degno di un paese Sudamericano.

Non so se questa corsa al complotto sia il risultato di un’infezione causata dall’aria nauseabonda che arriva dalla morente cultura politica italiana, dove l’accusato non risponde mai nel merito delle accuse mosse contro di lui, ma piuttosto punta direttamente a delegittimare l’istituzione stessa che è a capo di tali recriminazioni. O se, invece, sia il risultato di un indebolimento generalizzato dei principi democratici, vedasi, per esempio, il caso dell’Ungheria e della recente legge contro la libertà di stampa.

Cionondimeno Vondra dovrebbe sapere che in un moderno e maturo stato di diritto chi riveste una funzione pubblica ed è oggetto di accuse di illeciti giudiziari ha anzitutto il dovere di dimostrarne rapidamente e in modo inequivocabile l’infondatezza. Se non è in grado di farlo deve dimettersi per salvaguardare la credibilità dell’istituzione che rappresenta. Glissare sul merito e contrattaccare il proprio querelante significa, di fatto, gettare ombre cupe sul sospetto di colpevolezza.

Tutto questo per dire che a vent’anni dalla Rivoluzione la strada e le prospettive di affermazione dei principi democratici sono ancora incerte. E non mi riferisco solo alla Rivoluzione di Velluto. Perché quella era, a mio avviso, il riflesso locale di una Rivoluzione che ha interessato l’intero pianeta: la fine della Guerra Fredda. Dalla fine del secondo conflitto mondiale per i paesi occidentali i diritti e lo stato sociale, con i conseguenti costi da indebitamento pubblico, hanno rappresentato in buona misura la moneta di scambio con cui evitare che gli elettori votassero a sinistra. Se nell’Europa Occidentale abbiamo goduto di un crescente benessere non lo dobbiamo certo alla naturale bontà e generosità degli Americani, come vorrebbero farci credere certi pretestuosi e faziosissimi commentatori. Lo dobbiamo, invece, al loro timore che un’Europa impoverita finisse per portare voti ai partiti comunisti europei. In tal senso era emblematico il caso del Partito Comunista Italiano, uno dei più forti d’Europa, la cui forza andava di pari passo con il disagio sociale ed economico dell’Italia e con la relativa battaglia per i diritti. Se a questo aggiungiamo la necessità di assicurarsi un mercato stabile e ricettivo per i propri prodotti e i propri capitali, capiamo che la bontà degli Americani qui c’entra ben poco.

E lo si è ben visto quando è crollato il Muro di Berlino. Paradossalmente si è trattato di un evento che, se da una parte ha finalmente consentito agli ex satelliti di liberarsi dal giogo imposto da Mosca e di avviarsi sull’erta e difficile via della Democrazia, dall’altra ha portato ad un indebolimento delle democrazie occidentali. Le elités dominanti non avevano più bisogno di foraggiare un ampio elettorato per tenerselo buono e, di contro, hanno cominciato a preoccuparsi di tutelare soltanto se stesse. Oggi lo spauracchio dell’Unione Sovietica non fa più paura a nessuno e, in un’economia globalizzata dominata da capitali veloci quanto il click di un mouse, votare a sinistra equivale, purtroppo, a votare più o meno scheda bianca. Da qui l’impoverimento generalizzato della cultura democratica e l’imbarbarimento della politica.

Quindi, da una parte abbiamo l’Italia, un paese dalla democrazia morente, e dall’altro la Repubblica Ceca, un paese con una democrazia nascente (ammettiamo per comodità che la Seconda Guerra Mondiale sia stata una tabula rasa) ma che, dopo due decenni di progressi, pare essersi arenato in un punto morto. Due situazioni molto diverse, per certi versi opposte ed inconciliabili, che di comune, però, hanno questa sorta di stallo dove lo Stato non rappresenta più una guida per la società, ovvero quell’entità che non solo garantisce e difende i diritti, ma ne promuove anche l’ampliamento e l’affermazione in tutti i livelli della società. Al contrario esso sembra diventato, piuttosto, un amministratore stanco, incapace e privo di idee preoccupato solo dei conti pubblici senza nemmeno avere la decenza di includere in queste misure restrittive i propri rappresentanti che, al contrario, vivono con prebende sempre più laute, degne di un inaccettabile ritorno ad un redivivo medioevo.

Forse il tempo darà ragione a chi saprà aspettare. Nell’Antico Testamento si scriveva che servirono 40 anni per completare l’esodo del popolo ebraico dall’Egitto verso la Palestina. Forse sarà così anche per l’esodo dal totalitarismo verso la Democrazia. Sono servite, in fondo, due generazioni perché l’incubo del regime totalitario comunista si dissolvesse nel nulla. Ciò potrebbe significare che altrettanti ne serviranno per vedere compiuto questo arduo tragitto. Se così è, possiamo dirci a metà strada di un percorso non facile dove gli ostacoli sono così tanti e così ingombranti da far desistere molti, leggasi bassa affluenza alle urne e generale disaffezione verso la politica vissuta non più come l’agora dove esigere i cambiamenti ma come un inevitabile virus che la scienza medica non riesce a curare.

Eppure non possiamo e non dobbiamo arrenderci. Lo dobbiamo per rispetto verso noi stessi, verso i nostri figli e verso tutti quelli che hanno dato la propria vita per difendere la libertà e i diritti. Certo, nel nostro piccolo possiamo ben poco. Oggi quel poco pare ancora meno se pensiamo alla reale incidenza di un voto laddove, non possiamo non constatare che, di fatto, ci manca pure la possibilità di votare per una reale alternativa. Ma in un campo possiamo ancora fare la differenza: la società civile. Da sempre, infatti, è l’associazionismo, ovvero l’unione di individui accomunati dai loro bisogni e dalle loro speranze, ad essere il motore dei cambiamenti in quel luogo dove, nello scambio e nel confronto, le idee nascono, maturano e si trasformano in azione.

E forse non è neanche un caso, allora, che oggi sia così grande il potere della televisione, nella quale, nonostante gli altri media, si investono ogni anno cifre da capogiro. Essa, mezzo sicuramente magnifico con potenzialità enormi, rimane però uno strumento passivo per l’utente, facilmente manipolabile dai poteri forti (i costi elevati di gestione di una TV ne provocano la centralizzazione in poche mani) e che, oltre al rischio di disinformazione (basti citare l’Italia dove l’80% delle persone riceve le proprie informazioni solo dalla TV che è in larga misura sotto un unico Grande Censore), isola le persone. Dunque, la TV, come un surrogato di socialità virtuale, diventa per le elités la garanzia di avere individui soli in una società frammentata e disomogenea. È il vecchio divide et impera dei romani. Oggi dovremmo dire trade et impera, trasmetti e controlla. Di pari passo il consumismo più incontrollato, genitore degenere che della TV commerciale è il sostentamento pubblicitario, ci isola dagli altri nei nostri desideri, e ci spinge a trovare risposta alle nostre insoddisfazioni nell’acquisto di oggetti e servizi. E allora il motto diventa: trade, vende et impera, trasmetti, vendi e controlla.

È allora necessario arrestare questo processo e tornare all’associazionismo. Se la maggior parte di noi non lavora più in grosse fabbriche dove migliaia di individui condividevano spazi fisici e bisogni materiali, oggi l’unica strada percorribile è quella di riappropriarci dei nostri spazi di socialità e di scambio, perché è da essi che nascono le aspirazioni ai diritti e le azioni per il loro compimento. Per questo, nei limiti del mio poco tempo disponibile, sono fiero di poter partecipare alle attività dell’Associazione Amici dell’Italia, per la cui rivista adesso ho il piacere di scrivere.

Ritengo importante che un’Associazione del genere esista e ne sono uno strenuo difensore e propagatore. Questo non solo per l’umana simpatia che provo per il suo storico demiurgo ed ispiratore, Rostislav Pietropaolo, e per il suo insostituibile braccio destro Dagmar Koutná, carissimi amici che mi hanno introdotto all’Associazione, ma anche per il rispetto per l’esteso e continuo lavoro di associazionismo nel senso più profondo del termine svolto finora. Un’attività davvero encomiabile, soprattutto se pensiamo al capitale sociale che, purtroppo, in Repubblica Ceca vedo essere ancora così debole e precario, vuoi per la generale riservatezza dei popoli nordici, vuoi per il disastroso lascito di quarant’anni di sospetti e di tradimenti, vuoi per gli echi più lontani dell’Accordo di Monaco o per quelli ancora più remoti della disfatta della Montagna Bianca. Forse sembrerà poca cosa, ma a mio avviso partecipare alle attività di questa Associazione, assorbirne i nobili propositi ed obiettivi confrontandosi con persone e amici che, insieme a noi, ne condividono gli ideali e le aspirazioni più alte, è quanto di meglio possiamo fare per affermare, rinforzare, difendere e promuovere la Democrazia in Repubblica Ceca.

Nella speranza che l’Italia non sia spacciata e che il coma politico in cui è caduta negli ultimi 17 anni sia ancora reversibile, vediamo di fare il possibile per salvare almeno la giovane Democrazia di questo paese il cui attuale governo, se pur ben lontano dall’essere macchiato di reati infanganti come lo sfruttamento della prostituzione minorile, non è certo scevro dalla corruzione, ricordiamo lo scandalo dell’ex Ministro dell’Ambiente Drobil, e dalla completa assenza di una chiara visione verso quale futuro guidare questo paese.

Questo mio contributo, in conclusione, vuole essere non solo un riconoscimento e un apprezzamento sinceri verso l’Associazione Amici dell’Italia, ma vorrebbe essere anche un invito a riflettere sull’importanza che questa nostra amata Associazione, e più in generale l’associazionismo, ha nel promuovere e diffondere i principi democratici. L’anno scorso l’Associazione ha festeggiato i suoi primi vent’anni dalla sua fondazione, non a caso gli stessi vent’anni della ritrovata Libertà. Una prima generazione è trascorsa e tanto lavoro è stato fatto. Altrettanto rimane da fare per la generazione a venire che, dimentica di quello che fu prima del 1989, non si accontenterà di quanto conquistato sinora e, giustamente, avanzerà le proprie aspettative ed esigenze. A noi, genitori di questa nuova generazione, il compito di essere all’altezza di queste legittime richieste e di indirizzarla e di accompagnarla lungo la via di questo grande esodo verso la Terra Promessa della Democrazia.

domenica 30 gennaio 2011

“IL PARADISO INCOMINCIA DALL'AMORE CHE NOI SAREMO CAPACI DI VOLERCI QUI SULLA TERRA”

Nelle brume della pianura una distesa di granoturco, i salici lungo un canale gorgogliante, i campi coltivati e, in sottofondo, i canti dei contadini. Si apre con queste semplici immagini suggestive “L’albero degli zoccoli”, il capolavoro di Ermanno Olmi che gli valse nel 1978 la Palma d’oro al festival di Cannes e, l’anno successivo, il David di Donatello e 5 Nastri d’Argento.

La pellicola è ambientata a Palosco, nella campagna bergamasca, ed è interpretata da contadini e gente del luogo che non avevano mai visto una camera da presa e che si esprimono solo nel proprio dialetto locale (il film è sottotitolato in italiano). Spesso ci chiediamo come doveva essere la vita dei nostri avi quando non c’erano il telefono, la televisione, l’elettricità e l’acqua corrente. Ebbene, nel film di Olmi troviamo una descrizione fedele e precisa di una vita che oggi pare lontana anni luce. Eppure, parliamo di poco più di cent’anni fa.

Ambientato negli ultimi anni del XIX secolo, il film narra un mondo che si è tramandato immutato di generazione in generazione e che, con qualche minima variazione, potrebbe benissimo descrivere la vita nell’alto medioevo o nell’antica Roma. Il ritmo degli eventi scorre lentamente come le acque del fiume che portano la giovane coppia a Milano dove, nella grande città sconosciuta, rimarranno stupiti di fronte agli scontri e alle proteste popolari che non capiscono. Un mondo fatto di silenzi scanditi dai ritmi naturali del sole e delle stagioni, dove gli unici suoni sono quelli della natura, sono le voci delle persone, degli animali e del duro lavoro quotidiano. Sì, perché la vita descritta da Olmi è una vita di fatiche, di dolori e di incertezza sul futuro. Una vita che da un giorno all’altro può essere sconvolta dalla malattia di una bestia da soma o dal maltempo.

Una vita forse grama ai nostri occhi, abituati come siamo a desiderare sempre più di ciò che abbiamo. Eppure, la vita ritratta da Olmi è piena di una dignità temprata proprio dalle difficoltà, una vita figlia della consapevolezza e dell’accettazione del dolore e dell’insicurezza. La fame, la morte e la mancanza erano perennemente dietro l’angolo, quasi fossero inevitabili membri di famiglia. Da qui possiamo anche percepire l’importanza che allora aveva per le persone il sentimento religioso: la preghiera era vissuta pubblicamente come rito collettivo di socialità e di coesione della famiglia e, privatamente, come ultima istanza di salvezza.

L’uomo moderno ripudia Dio, sicuro di poter domare il mondo con la scienza e la tecnologia, ma Olmi ci restituisce, invece, un uomo fragile, la cui esistenza è sempre in bilico tra eventi che non può controllare e dove il sentimento religioso appare come un logico e comprensibile anelito di serenità e di pace. Commovente, in questo senso, la scena della donna che, disperata dalla prospettiva di perdere la sua mucca malata, per salvarla le dà da bere dell’acqua di fiume che ha benedetto in una chiesetta con un rito tra il sacro e il pagano.

La mucca guarisce. Non ci è dato di sapere se per caso o per intercessione divina, ma quel che sappiamo è che per quella donna il sentimento religioso è certamente qualcosa di concreto e tangibile: ella ringrazierà a lungo la Madonna cui si era votata.

È un mondo dove la perenne indigenza ricordava ai contadini che c’era sempre qualcuno che stava peggio di loro e che era cosa buona e giusta condividere qualcosa, anche poco, con gli ultimi degli ultimi, come fanno i protagonisti con il mendicante Giopa. Offrirgli una ciotola con un po’ di polenta è un gesto di vera religiosità, semplice, genuina, sentita come un dovere di umanità, prima ancora che come un obbligo dettato dalla religione.

Toccante anche la scena dell’innamoramento tra Stefano e Maddalena. Tanto è il rispetto per la giovane ragazza che Stefano, la prima volta che si avvicina a lei, le chiederà addirittura il permesso di salutarla. Dopo un lungo e silenzioso corteggiamento fatto di sguardi e di desideri non detti, i due giovani contadini si sposeranno e, altro atto di carità, adotteranno, su richiesta di una parente suora, il piccolo Giovanni Battista. E così, nonostante la povertà e le difficoltà, la vita andrà avanti.

Dall’altra parte del ciclo vitale, il nonno Anselmo, che non può più lavorare nei campi, è comunque utile ad una comunità povera che non si può permettere sprechi: aiuta la famiglia tenendo i bambini, che lo amano tantissimo, cui tramanda con filastrocche e proverbi la tradizione e la cultura popolari.


Sentiamo spesso parlare di ritorno alla frugalità e ai valori di un tempo, di vita più semplice e più lenta. Internet e le librerie sono piene di manuali che, complici essi stessi dello stesso perverso meccanismo consumistico, vorrebbero insegnarci come vivere più felici con meno. Ma sarebbe sin troppo facile e scontato rimpiangere questo mondo antico. Ben pochi di noi, in realtà, avrebbero davvero la forza di tornare, se non vi fossero costretti, a quella vita di fatiche e, d’altra parte, sarebbe da sciocchi e da ingrati non apprezzare tutte le comodità grazie alle quali possiamo vivere una vita più lunga, più sana e intellettualmente più stimolante e appagante.

Questo film, trentatre anni dopo, sembra, allora, particolarmente appropriato per questi tempi dove l’etica e la moralità dei comportamenti sembrano essersi ridotti a una mera questione di legalità, dove l’enorme arricchimento di pochi, conseguito a scapito di tanti, ci inculca un modello di vita abbagliato dal sogno di una facile ricchezza, dove il lavoro, onesto e faticoso, viene disprezzato e soccombe al gioco elettronico d’azzardo della guida spericolata di capitali finanziari spietati che assurgono al ruolo di successo da lodare e da imitare.

In questo mondo, dove giovani ragazze senza speranze vengono trovate con banconote troppo grosse per le loro piccole vite, un film come quello di Olmi pone un freno a questa folle corsa e ci riporta con i piedi per terra. In maniera semplice, umile e con una commovente profondità fatta di emozioni e di speranze silenziose Olmi tocca nel profondo i nostri cuori con la rappresentazione di vite povere ma felici di uomini e donne affaticati da un’esistenza difficile, eppure orgogliosi della propria dignità e delle proprie tradizioni.

Insomma, “L’albero degli zoccoli” è un film di rara bellezza che ho scoperto solo adesso e che ha provocato in me una profonda impressione. Un film importante il cui messaggio senza tempo oggi, quando è grande lo smarrimento della società, andrebbe sicuramente riproposto al grande pubblico nella speranza che induca nelle persone qualche seria riflessione. In fondo, l’Arte, quella che provoca in noi delle emozioni vere, dovrebbe servire anche a questo.

Andreas Pieralli

Scrittore

http://andreaspieralli.blogspot.com