domenica 13 febbraio 2011

IL LUNGO ESODO BIBLICO VERSO LA DEMOCRAZIA

Le preoccupanti notizie che arrivano dall’Italia sui tristi avvenimenti che, in quello che per molti rimane il più bel paese del mondo, stanno seriamente minando le fondamenta della Democrazia dovrebbero preoccupare anche chi, lontano dai confini di un paese praticamente fondato sulla TV e sulla manipolazione mediatica, si crede al sicuro dagli insidiosi germi della deriva populistica e antidemocratica.

Non intendo affrontare in questa sede la questione politica italiana che, tutto sommato, in questo paese riscuote interesse limitato e che, ad ogni buon conto, viene già magistralmente illustrata e raccontata dall’ottimo Holub durante i suoi eccellenti seminari di aggiornamento sull’attualità italiana. Tale approfondimento, infatti, richiederebbe uno spazio ben maggiore di quello qui concessomi. Al contrario, desidero inaugurare questa mia collaborazione con lo Zpravodaj dell’Associazione Amici dell’Italia, che mi auspico essere lunga e fruttuosa, con una riflessione sul rapporto tra la Democrazia e la società civile in Repubblica Ceca.

Leggo da più parti manifestazioni di delusione per la precarietà dei principi democratici in questo paese. Sull’ottimo Respekt, poco tempo fa è uscito un articolo interessante dove si argomentava che, se da una parte oggi i Cechi possano ritenersi un paese ben avviato sulla strada della ricchezza materiale, dall’altra la strada verso il radicamento di una reale Democrazia appare incerta ed irta di ingombranti ostacoli. Tra questi, senza dubbio, il primo, apparentemente irremovibile, è la corruzione, ahimè qui diffusa a livelli davvero indegni di un paese civile e moderno. Corruzione che va di pari passo con la totale immobilità della polizia ceca e il suo vergognoso assoggettamento al potere politico. Purtroppo anche in Italia questa è una cancrena che ha raggiunto livelli di guardia, ma se non altro, ogni tanto, qualche politico finisce per dover rendere conto alla Giustizia, come nel caso recente di Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia, in carcere per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra dove dovrà scontare una pena di sette anni di reclusione.

D’altra parte quando sento il Ministro ceco della Difesa Vondra gridare alla persecuzione contro la sua persona e contro il suo partito in merito alle accuse mossegli secondo cui sarebbe stato a conoscenza dell’appalto gonfiato (766 milioni di CZK invece di 85!), vinto dalla PromoMoPro per i servizi audiovisivi durante la presidenza ceca UE, ebbene, seppure molto più in piccolo, mi viene da pensare a certi personaggi italiani che di fronte a qualsiasi accusa gridano subito al complotto. Se pur vicesegretario di un partito ai miei occhi completamente discreditato e complice dell’elevato livello di corruzione di questo paese, ho comunque rispetto per l’uomo Vondra, ex dissidente e firmatario della Charta 77. Ammiro anche i suoi sforzi di porre un freno, vedremo quanto efficace, alla situazione veramente vergognosa, lasciata dal suo predecessore Bartak, al Ministero della Difesa dove i rapporti tra i funzionari, che conferivano i grassi appalti per l’acquisto di mezzi militari spesso inutili o addirittura non funzionanti, e le ditte vincitrici era davvero degno di un paese Sudamericano.

Non so se questa corsa al complotto sia il risultato di un’infezione causata dall’aria nauseabonda che arriva dalla morente cultura politica italiana, dove l’accusato non risponde mai nel merito delle accuse mosse contro di lui, ma piuttosto punta direttamente a delegittimare l’istituzione stessa che è a capo di tali recriminazioni. O se, invece, sia il risultato di un indebolimento generalizzato dei principi democratici, vedasi, per esempio, il caso dell’Ungheria e della recente legge contro la libertà di stampa.

Cionondimeno Vondra dovrebbe sapere che in un moderno e maturo stato di diritto chi riveste una funzione pubblica ed è oggetto di accuse di illeciti giudiziari ha anzitutto il dovere di dimostrarne rapidamente e in modo inequivocabile l’infondatezza. Se non è in grado di farlo deve dimettersi per salvaguardare la credibilità dell’istituzione che rappresenta. Glissare sul merito e contrattaccare il proprio querelante significa, di fatto, gettare ombre cupe sul sospetto di colpevolezza.

Tutto questo per dire che a vent’anni dalla Rivoluzione la strada e le prospettive di affermazione dei principi democratici sono ancora incerte. E non mi riferisco solo alla Rivoluzione di Velluto. Perché quella era, a mio avviso, il riflesso locale di una Rivoluzione che ha interessato l’intero pianeta: la fine della Guerra Fredda. Dalla fine del secondo conflitto mondiale per i paesi occidentali i diritti e lo stato sociale, con i conseguenti costi da indebitamento pubblico, hanno rappresentato in buona misura la moneta di scambio con cui evitare che gli elettori votassero a sinistra. Se nell’Europa Occidentale abbiamo goduto di un crescente benessere non lo dobbiamo certo alla naturale bontà e generosità degli Americani, come vorrebbero farci credere certi pretestuosi e faziosissimi commentatori. Lo dobbiamo, invece, al loro timore che un’Europa impoverita finisse per portare voti ai partiti comunisti europei. In tal senso era emblematico il caso del Partito Comunista Italiano, uno dei più forti d’Europa, la cui forza andava di pari passo con il disagio sociale ed economico dell’Italia e con la relativa battaglia per i diritti. Se a questo aggiungiamo la necessità di assicurarsi un mercato stabile e ricettivo per i propri prodotti e i propri capitali, capiamo che la bontà degli Americani qui c’entra ben poco.

E lo si è ben visto quando è crollato il Muro di Berlino. Paradossalmente si è trattato di un evento che, se da una parte ha finalmente consentito agli ex satelliti di liberarsi dal giogo imposto da Mosca e di avviarsi sull’erta e difficile via della Democrazia, dall’altra ha portato ad un indebolimento delle democrazie occidentali. Le elités dominanti non avevano più bisogno di foraggiare un ampio elettorato per tenerselo buono e, di contro, hanno cominciato a preoccuparsi di tutelare soltanto se stesse. Oggi lo spauracchio dell’Unione Sovietica non fa più paura a nessuno e, in un’economia globalizzata dominata da capitali veloci quanto il click di un mouse, votare a sinistra equivale, purtroppo, a votare più o meno scheda bianca. Da qui l’impoverimento generalizzato della cultura democratica e l’imbarbarimento della politica.

Quindi, da una parte abbiamo l’Italia, un paese dalla democrazia morente, e dall’altro la Repubblica Ceca, un paese con una democrazia nascente (ammettiamo per comodità che la Seconda Guerra Mondiale sia stata una tabula rasa) ma che, dopo due decenni di progressi, pare essersi arenato in un punto morto. Due situazioni molto diverse, per certi versi opposte ed inconciliabili, che di comune, però, hanno questa sorta di stallo dove lo Stato non rappresenta più una guida per la società, ovvero quell’entità che non solo garantisce e difende i diritti, ma ne promuove anche l’ampliamento e l’affermazione in tutti i livelli della società. Al contrario esso sembra diventato, piuttosto, un amministratore stanco, incapace e privo di idee preoccupato solo dei conti pubblici senza nemmeno avere la decenza di includere in queste misure restrittive i propri rappresentanti che, al contrario, vivono con prebende sempre più laute, degne di un inaccettabile ritorno ad un redivivo medioevo.

Forse il tempo darà ragione a chi saprà aspettare. Nell’Antico Testamento si scriveva che servirono 40 anni per completare l’esodo del popolo ebraico dall’Egitto verso la Palestina. Forse sarà così anche per l’esodo dal totalitarismo verso la Democrazia. Sono servite, in fondo, due generazioni perché l’incubo del regime totalitario comunista si dissolvesse nel nulla. Ciò potrebbe significare che altrettanti ne serviranno per vedere compiuto questo arduo tragitto. Se così è, possiamo dirci a metà strada di un percorso non facile dove gli ostacoli sono così tanti e così ingombranti da far desistere molti, leggasi bassa affluenza alle urne e generale disaffezione verso la politica vissuta non più come l’agora dove esigere i cambiamenti ma come un inevitabile virus che la scienza medica non riesce a curare.

Eppure non possiamo e non dobbiamo arrenderci. Lo dobbiamo per rispetto verso noi stessi, verso i nostri figli e verso tutti quelli che hanno dato la propria vita per difendere la libertà e i diritti. Certo, nel nostro piccolo possiamo ben poco. Oggi quel poco pare ancora meno se pensiamo alla reale incidenza di un voto laddove, non possiamo non constatare che, di fatto, ci manca pure la possibilità di votare per una reale alternativa. Ma in un campo possiamo ancora fare la differenza: la società civile. Da sempre, infatti, è l’associazionismo, ovvero l’unione di individui accomunati dai loro bisogni e dalle loro speranze, ad essere il motore dei cambiamenti in quel luogo dove, nello scambio e nel confronto, le idee nascono, maturano e si trasformano in azione.

E forse non è neanche un caso, allora, che oggi sia così grande il potere della televisione, nella quale, nonostante gli altri media, si investono ogni anno cifre da capogiro. Essa, mezzo sicuramente magnifico con potenzialità enormi, rimane però uno strumento passivo per l’utente, facilmente manipolabile dai poteri forti (i costi elevati di gestione di una TV ne provocano la centralizzazione in poche mani) e che, oltre al rischio di disinformazione (basti citare l’Italia dove l’80% delle persone riceve le proprie informazioni solo dalla TV che è in larga misura sotto un unico Grande Censore), isola le persone. Dunque, la TV, come un surrogato di socialità virtuale, diventa per le elités la garanzia di avere individui soli in una società frammentata e disomogenea. È il vecchio divide et impera dei romani. Oggi dovremmo dire trade et impera, trasmetti e controlla. Di pari passo il consumismo più incontrollato, genitore degenere che della TV commerciale è il sostentamento pubblicitario, ci isola dagli altri nei nostri desideri, e ci spinge a trovare risposta alle nostre insoddisfazioni nell’acquisto di oggetti e servizi. E allora il motto diventa: trade, vende et impera, trasmetti, vendi e controlla.

È allora necessario arrestare questo processo e tornare all’associazionismo. Se la maggior parte di noi non lavora più in grosse fabbriche dove migliaia di individui condividevano spazi fisici e bisogni materiali, oggi l’unica strada percorribile è quella di riappropriarci dei nostri spazi di socialità e di scambio, perché è da essi che nascono le aspirazioni ai diritti e le azioni per il loro compimento. Per questo, nei limiti del mio poco tempo disponibile, sono fiero di poter partecipare alle attività dell’Associazione Amici dell’Italia, per la cui rivista adesso ho il piacere di scrivere.

Ritengo importante che un’Associazione del genere esista e ne sono uno strenuo difensore e propagatore. Questo non solo per l’umana simpatia che provo per il suo storico demiurgo ed ispiratore, Rostislav Pietropaolo, e per il suo insostituibile braccio destro Dagmar Koutná, carissimi amici che mi hanno introdotto all’Associazione, ma anche per il rispetto per l’esteso e continuo lavoro di associazionismo nel senso più profondo del termine svolto finora. Un’attività davvero encomiabile, soprattutto se pensiamo al capitale sociale che, purtroppo, in Repubblica Ceca vedo essere ancora così debole e precario, vuoi per la generale riservatezza dei popoli nordici, vuoi per il disastroso lascito di quarant’anni di sospetti e di tradimenti, vuoi per gli echi più lontani dell’Accordo di Monaco o per quelli ancora più remoti della disfatta della Montagna Bianca. Forse sembrerà poca cosa, ma a mio avviso partecipare alle attività di questa Associazione, assorbirne i nobili propositi ed obiettivi confrontandosi con persone e amici che, insieme a noi, ne condividono gli ideali e le aspirazioni più alte, è quanto di meglio possiamo fare per affermare, rinforzare, difendere e promuovere la Democrazia in Repubblica Ceca.

Nella speranza che l’Italia non sia spacciata e che il coma politico in cui è caduta negli ultimi 17 anni sia ancora reversibile, vediamo di fare il possibile per salvare almeno la giovane Democrazia di questo paese il cui attuale governo, se pur ben lontano dall’essere macchiato di reati infanganti come lo sfruttamento della prostituzione minorile, non è certo scevro dalla corruzione, ricordiamo lo scandalo dell’ex Ministro dell’Ambiente Drobil, e dalla completa assenza di una chiara visione verso quale futuro guidare questo paese.

Questo mio contributo, in conclusione, vuole essere non solo un riconoscimento e un apprezzamento sinceri verso l’Associazione Amici dell’Italia, ma vorrebbe essere anche un invito a riflettere sull’importanza che questa nostra amata Associazione, e più in generale l’associazionismo, ha nel promuovere e diffondere i principi democratici. L’anno scorso l’Associazione ha festeggiato i suoi primi vent’anni dalla sua fondazione, non a caso gli stessi vent’anni della ritrovata Libertà. Una prima generazione è trascorsa e tanto lavoro è stato fatto. Altrettanto rimane da fare per la generazione a venire che, dimentica di quello che fu prima del 1989, non si accontenterà di quanto conquistato sinora e, giustamente, avanzerà le proprie aspettative ed esigenze. A noi, genitori di questa nuova generazione, il compito di essere all’altezza di queste legittime richieste e di indirizzarla e di accompagnarla lungo la via di questo grande esodo verso la Terra Promessa della Democrazia.

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