Democrazia. Il totem magico della civiltà occidentale. Un sistema di valori e di regole che ha progressivamente sostituito a livello ideologico la teocrazia della Chiesa di Roma, così come avevano cercato di fare, fallendo, i nazi-fascismi e i comunismi del XX secolo. In una società secolarizzata che ha perso molto della propria fede nel mistero e nel sovrannaturale (pur non avendone perso, va detto, l’esigenza), la democrazia è stata assurta a panacea universale per la gestione di società sempre più complesse quali quelle moderne sono. E a ragione, visto che non si può non condividere Churchill, secondo cui la democrazia è la peggior forma di governo, escluse tutte le altre. Insomma, da quando le città-stato greche hanno fermato a Termopili i persiani di Serse furono gettate le basi di un sistema filosofico e di pensiero che si sarebbe lentamente espanso in tutto l’Occidente, in contrapposizione ai sistemi orientali assolutistici di provenienza asiatica, nei quali possiamo tranquillamente far rientrare anche la mostruosità del faraone sanguinario chiamato Stalin.
Se i greci riuscirono a fermare il morbo totalitario persiano, altrettanto non si riuscì a fare in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale. E così, complici l’avidità senza fondo e la voracità insaziabile dei grandi industriali dell’epoca liberale che crearono con milioni di reietti affamati il terreno fertile, ecco arrivare ancora da Est una nuova grande pestilenza ideologica: il comunismo.
Implosa la Cortina di Ferro, la Repubblica Ceca torna a pieno titolo ad essere un rappresentante del mondo Occidentale. Un paese che si beneficia della sua posizione geografica, spartiacque tra Occidente e Oriente, tra mondo germanico-latino e mondo slavo. Un paese destinato ad oscillare tra l’inclinazione da una parte verso la slavofilia, derivante dall’etnos, dal logos e dall’educazione primaria impartita dalla missione evangelizzatrice dei maestri Cirillo e Metodio, macedoni beneficamente coltivati nella cultura greca, e, dall’altra, l’anelito alla libertà, il riformismo e l’autodeterminazione che ha trovato nel professor Jan Hus il suo più commovente e sfortunato messia. Un paese piccolo, forse, ma, come tutti i baricentri, anche la Repubblica Ceca, equilibrista tra Ovest ed Est, in realtà è la piccola bolla d’aria della livella tra Occidente ed Oriente.
Se volgiamo lo sguardo all’oggi, sembra che, nonostante tutto, i principi democratici del paese boemo siano saldi. Infatti, a differenza di altri paesi, ahimè Italia compresa, la debolezza dell’ultimo governo, la sua bassa popolarità e l’evidente incapacità di lottare efficacemente contro la corruzione, non ci hanno reso spettatori della crescita di partiti populisti, xenofobi ed estremisti, che con il loro vaniloquio antisistema cerchino di catalizzare il malcontento degli elettori.
Eppure alcuni dati recentemente pubblicati da Respekt sulle aspettative e la fede tra i cechi, giovani in particolari, verso la democrazia come sistemo di governo dovrebbero metterci in allarme.
Cosa ne desumiamo? Che i nostri figli, le generazioni future che diventeranno i pilastri su cui poggerà la nostra società, sembrano non credere più nel sistema democratico. Non avendo vissuto da vicino l’orrore del suo opposto, non possono non risentire di un sistema che, se formalmente libero, all’atto pratico sembra tenere davvero di poco conto le aspirazioni dei cittadini. Se gli elettori non sono più disposti a tollerare la corruzione, ecco tutti i candidati promettere meno corruzione. Le urne danno loro ragione, ecco pronto il nuovo governo e... eccoci al punto di partenza: la corruzione continua indisturbata a succhiare le risorse del paese. Allora, forse, dovremmo ringraziarli (o biasimarli?) se non intraprendono vie violente e, invece, prediligono azioni locali, magari non governative, che mirano alla soluzione di problemi concreti. Iniziative certamente utili e lodevoli ma che rischiano di lasciare campo libero ai poteri forti della politica nazionale se devono avere come effetto una crescente diserzione delle urne.
Questo per la Repubblica Ceca. Volgiamo allora adesso il nostro sguardo verso un teatro politico diverso, non certo più importante ma sicuramente più teatrale, esasperato e, ammettiamolo, anche più entusiasmante: l’Italia. Qua serve un approccio ben diverso. Parto dal presupposto che ai lettori sia nota, almeno in via generale, la tragica situazione in cui versano le istituzioni italiane, sottoposte giornalmente all’attacco di un solo uomo disposto a far affondare l’intero paese in una guerra civile pur di sottrarsi alla giustizia che, in modo del tutto legittimo, sta indagando sul suo torbido passato e il suo vergognoso presente. Ma se quest’uomo (non serve nominarlo, sappiamo tutti di chi parlo), questo affabulatore populistico è lì dove si trova e se ha occupato quello scranno per 17 lunghi, troppo lunghi, anni, ciò non può essere imputato ad un colpo di stato modello sudamericano (se non altro Pinochet e compagnia si era autolegittimato con la violenza con cui hanno conquistato il potere), né ad una rivoluzione che abbia legittimato l’ascesa al potere del magnate della mistificazione. No, se è lì lo dobbiamo proprio a quella democrazia di cui sopra. Sì, è così. Soffermiamoci a riflettere un attimo su questa tragedia. Quell’uomo che sta distruggendo le istituzioni, sta attaccando la costituzione, sciogliendo lo stato sociale, creando una generazione di yes-man, di marionette sempre pronte ad obbedire al capo, di giovani donne che non vedono alternative all’uso del proprio corpo per conquistarsi un posto al sole, ebbene quell’uomo è lì perché è stato liberamente eletto, e, dunque, è legittimamente al potere. Le sue leggi, i suoi decreti, per quanto deprecabili, sono legittimi: votati da una maggioranza eletta. L’unica diga al dilagare del male rimane, allora, la Corte Costituzionale che ha il potere, applicato per esempio nell’abolizione del legittimo impedimento, di dichiarare incostituzionale una legge quando, purtroppo, il complesso, e costoso, sistema politico italiano non riesce a fermare prima una legge contraria alla carta costituzionale. Mistificando volontariamente la libertà con la liceità questo personaggio rivendica la legittimità di governare, così lui chiama la difesa dei propri interessi a scapito dell’intero paese, con il risultato delle urne.
E allora questa democrazia funziona o no? Tecnicamente pare di sì. Gli italiani che lo hanno votato non erano costretti a farlo, non avevano il fucile puntato alla tempia, i seggi elettorali non erano presieduti dalle sue milizie come avviene in tanti regimi dittatoriali dove le elezioni sono solo delle farse (così com’è stato nell’allora Cecoslovacchia per quarant’anni, ricordo mio nonno che si rifiutava di andare a votare e le preghiere di mia nonna, che mal vedeva le sue piccole aspirazioni di ribelle, e lo pregava di non creare problemi). Ma allora perché milioni di persone lo hanno votato?
A mio avviso un fenomeno così complesso ha due risposte relativamente semplici. La prima è cosa nota: l’80% degli italiani valuta i politici in base a quello che vede in televisione e la televisione è nelle sue mani, questo è evidente. È vero che oggi chi lo desidera ha molti modi per informarsi in modo autonomo e libero. Il mezzo principe è Internet dove, con un po’ di impegno, è possibile farsi un’idea più chiara su come stiano realmente le cose. Le informazioni ci sono, quella che manca è la voglia di cercarle. La maggior parte delle persone non sono interessate alla politica come lo può essere un giornalista, uno scrittore o un opinion maker. Sentono il dovere di votare, ma per farlo non vogliono dover affrontare chissà quali analisi, dibattiti o approfondimenti. La loro vita è altrove. Questo non riguarda solo l’Italia. È comprensibile e legittimo che sia così. Se a questo aggiungiamo che l’Italia è un paese che, dai tempi dei Comuni, vive diviso in mille fazioni e che gli italiani sono per cultura e per storia intimamente e profondamente “faziosi”, ovvero sempre schierati con qualcuno, emotivamente, qualcuno che difenderanno e giustificheranno indipendentemente dalla realtà dei fatti, se a questo aggiungiamo il potere mediatico di questo mostro televisivo, allora già ci stupiamo meno del suo potere.
La seconda ragione è intimamente connessa con la prima e possiamo ricercarla in un dato molto interessante pubblicato da Beppe Severgnini sul suo validissimo “La pancia degli italiani. Berlusconi spiegato ai posteri” (che consiglio a tutti vivamente di leggere): solo il 3-4% degli elettori del caimano sono laureati. Cosa significa ciò? È forse un male? Sì e no. No perché tutti, compresi i non laureati, hanno il diritto di essere rappresentati. Ma è anche un male se pensiamo che la politica non può limitarsi alla rappresentanza di tutti gli interessi ma deve aspirare anche ad indirizzare la società, a migliorarla e questo lo può fare soltanto una classe politica istruita.
Cosa ne desumiamo, allora? Che esistono due grandi rischi per la democrazia: il controllo dell’informazione e l’attacco all’istruzione. Anche le teorie economiche, tanto decantate dai pensatori di destra del mainstream che dominano la scena politica mondiale dagli anni 80 in poi, prevedono che un mercato possa funzionare bene solo quando gli operatori sono ben informati sui prodotti e i servizi, quando sono in grado di comparare efficacemente i prezzi e le qualità delle offerte. Allora saranno in grado anche di scegliere correttamente, cosa che porterà ad una migliore allocazione delle risorse. Se ho davanti a me due mozzarelle simili, una costa meno e ha la diossina, una costa di più ed è biologica. Sarei un pazzo se comprassi quella con la diossina, ma se io non ho questa informazione finirò per acquistare proprio quella. L’arena politica non è troppo diversa. Gli elettori sono come dei clienti, il loro voto è la scelta che fanno e la gestione politica il servizio che acquistano, l’eletto il loro fornitore. Appare lapalissiano che per scegliere correttamente abbiano bisogno di un’informazione libera, completa e veritiera. Ma è sufficiente? No, perché, tutto sommato, in Italia esistono programmi, pochi purtroppo, che offrono informazione plurale, eppure non convincono le persone che poi votano il mostro. Perché? Sono forse più stupidi degli altri? No. Sono in malafede? No. Sono legati al mostro? No (escluso il suo entourage di ruffiani e di cortigiane). La risposta è semplice: non sono istruiti come gli altri. Ovvero non hanno quegli strumenti concettuali e culturali necessari per analizzare e decodificare le informazioni valutandone così la veridicità e la bontà. Perché le informazioni non sono neutre. Non è una questione di gusti, le informazioni contengono i semi del Bene o del Male. Questo spiega come milioni di persone possano davvero credere alle frottole quotidianamente propinate dai telegiornali controllati dal caimano.
Come se ne esce? Innanzitutto bisogna difendere la libertà di informazione e la sua qualità. Bisogna premiare i giornalisti bravi e punire severamente quelli cattivi che si macchiano intenzionalmente di disinformazione, a questo dovrebbe servire l’albo dei giornalisti. Secondo, forse più complesso, garantire realmente l’accesso universale all’istruzione, un’istruzione che sia davvero di qualità, ma non solo: è necessario creare un sistema che imponga alle persone di istruirsi costantemente, un sistema che nel tempo, gradualmente, aumenti il livello di istruzione, di cultura, di sapere nella società. Di questo si gioverà non solo la democrazia con operatori istruiti, ben informati che poi sapranno scegliere in modo migliore, ma se ne gioverà il benessere di tutta la società. È stato ampiamente dimostrato che l’HDI, Human Development Index, ovvero l’indicatore dell’ONU che misura il benessere e la qualità della vita nei paesi del mondo, maggiore è l’istruzione media, maggiore il benessere, la tutela dell’ambiente etc. Se i paesi arabi sono in rivolta è perché sono stati “contagiati” dalle informazioni libere: internet e tv satellitare. Hanno veduto, saputo e ora rivendicano i loro diritti. L’Italia va in direzione opposta. La gente sa sempre meno e rinuncia ai propri diritti, conquistati con il sangue e il sudore dei loro padri e dei loro nonni nelle fabbriche, nelle trincee. Dobbiamo fermare questo declina, invertire questa tendenza al rimbecillimento generalizzato della società che fa comodo solo a chi la vuole controllare e manipolare. I soldi all’istruzione, alla cultura, all’informazione libera e alla salute devono essere tutelati costituzionalmente nei bilanci statali con percentuali fisse, crescenti nel tempo, che non possono essere modificate dalla politica. Se c’è bisogno di risparmiare aumentiamo le tasse, tranquillamente a tutti, ricchi e non solo, anche i poveri, contribuiamo tutti se serve, rinunciamo a treni supercostosi e veloci, andiamo più piano e risparmiamo, rinunciamo ad un’autostrada, arriveremo più tardi ma risparmieremo, risparmiamo davvero sulla corruzione, tagliamo enti inutili e costosi, impediamo realmente la fuga dei capitali, combattiamo davvero l’evasione fiscale, abbassiamo pure le tasse, se ci pare di pagare troppo, ma guai a chi non le paga. Ma, signori politici, non dobbiamo MAI risparmiare sul sapere, sulla cultura perché ne deriva un detrimento di lungo termine che può distruggere la nostra società, il cui benessere è stato costruito proprio sulla diffusione dell’istruzione, non certo sul grande fratello, le donne nude e i varietà per cerebrolesi. L’Italia con il mondo classico e con il Rinascimento ha posto le basi della cultura dell’intera Europa, tutti i nostri vicini ci sono grati per questo e lo riconoscono venendo in milioni a visitare ogni anno questo incredibile lascito culturale. Oggi, 20 secoli dopo gli splendori aurei degli apici dell’impero romano, 5 secoli dopo la grande rivoluzione culturale portata dal Rinascimento, stiamo mostrando a tutta l’Europa il rischio di non investire nella cultura. Ancora una volta stiamo dando un grande messaggio al mondo, questa volta in negativo. Stiamo attenti a questi segnali, non abbattiamoci, resistiamo e, se necessario, combattiamo per la nostra libertà, la nostra dignità e i nostri diritti: ovvero, combattiamo per il nostro sapere perché è nel sapere che è la vera libertà per l’uomo.
Il nuovo grande Rinascimento della filosofia politica del XXI secolo deve essere quello di, nell’equilibrio tra il potere esecutivo, giudiziario e quello legislativo di Montesquieu, aggiungerne un altro: il potere del sapere, dell’istruzione e della cultura. Un potere indipendente, forte, tutelato a livello costituzionale e con pari diritti e doveri rispetto agli altri tre poteri classici. Altrimenti, potremo anche continuare a vantarci di avere libertà di voto e libertà di espressione, ma a cosa, e soprattutto a chi servirà se le persone sono e saranno sempre più incapaci di votare e di esprimersi?
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