Sì, perché a differenza della preda che con una zampa in una tagliola si dimena disperatamente per salvarsi, noi nella trappola ci adeguiamo, ci prepariamo ad una lunga battaglia di conquista a bassa intensità e a nulla vale quella vocina ragionevole, tanto fiebile nella nostra testa, dell'amico saggio che ci avvisa apertamente su quello che sta accadendo.
Niente da fare. Si prosegue avanti, imperterriti convinti che in fondo ci sia quello che cerchiamo perché è sempre la speranza, la speranza che il sogno si avveri, che ci frega.
E allora quando poi finisci per sbatterci il muso contro naturalmente ti fai male, anche molto male. Hai voglia di lamentarti, di compiangerti ma se sei fortunato hai qualcuno che ti dice da subito di non farlo, perché così ci si rende solamente patetici se non altro di fronte a tutti quelli che non hanno sufficiente emaptia e senso della pietà per commiserare sinceramente chi soffre e chi chiede solo conforto agli altri.
Vedi che ormai è fatta, il vaso è rotto, i silenzi e le parole ruvide parlano chiaramente già un'altra lingua, un altro dialogo, suoni diversi quasi incomprensibili. Quello che è successo è chiaro. Protesi verso un futuro inesistente e utopistico, eppure testardamente attaccati ai propri sogni come muli, ci rifugiavamo almeno nel passato ingenuo, nei momenti piacevoli e nelle loro più fantasiose rielaborazioni ed interpretazioni.
Ma ora il gelo è piombato come un'eclissi malvagia sulle emozioni, c'è freddo, dentro e fuori e quello che si vede è desolazione, è un tempo che non c'è più ma che in realtà non c'è mai stato. Era un passato che viveva soltanto in noi e in quella speranza. Adesso è un passato che è morto, morto come qualsiasi cosa che abbiamo amato e che non avremo mai più.
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